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questo racconto è tratto dal libro piccola mappa delle paure

ogni tanto qualcuno suona al campanello e ogni tanto quel qualcuno siamo noi...

chi sei? cosa vuoi?

lunedì il signor song suonò il campanello. susanna lo aveva visto arrivare, sbirciando da dietro la finestra, e si era nascosta dietro la tenda, sperando in cuor suo che proseguisse per la propria strada, invece no. si era fermato di fronte alla sua porta e aveva suonato proprio il suo campanello. il signor song, della comunità cinese dall’altra parte del fiume, cosa volesse non lo sapeva e non lo avrebbe nemmeno saputo, perché susanna non aprì. lo lasciò suonare un altro paio di volte, poi lo sbirciò, sempre da dietro la finestra, mentre si allontanava, verso dove, chissà. con cautela si avvicinò al portone, per verificare che fosse chiuso per bene, casomai a quello fosse venuto in mente di tornare.

martedì fu il giovane magrebino said a bussare alla porta, e di nuovo susanna non aprì. anzi, abbassò il volume della radio, per dar l’impressione che in casa non ci fosse nessuno, come non c’era nessuno oltre a lei e anche lei, per lui, non era in casa. said bussò una seconda volta, poi se ne ritornò da dove era venuto e susanna poté alzare di nuovo il volume della radio.

sarasi era parte dell’unica famiglia indiana in città. ogni tanto susanna la incrociava per strada e abbassava gli occhi o guardava altrove per non incrociare i suoi. mercoledì, però, per qualche ignoto motivo sarasi suonò alla porta di susanna e susanna, vedendola attraverso lo spioncino, non riusciva a non chiedersi perché proprio lei, perché proprio allora, perché e basta. e anche a sarasi, susanna non aprì, lasciandola di fronte al portone chiuso come un confine da non valicare. e anche sarasi se ne andò.

giovedì non passò nessuno. susanna si godette la giornata senza dover aprire a chicchessia, senza necessità di tenere chiusa la porta, che infatti aprì, lasciando entrare dal giardino un raggio di luce e uscendo lei stessa sul prato, con i piedi sull’erba. beh, quasi nessuno, perché lungo la strada susanna sentì il cigolio di una bicicletta e vide avvicinarsi santiago, ragazzo della comunità peruviana oltre il parco. un brivido le percorse la schiena e susanna altro non poté fare, se non sperare che non stesse venendo da lei, rovinando una giornata quasi perfetta. restò ferma immobile, cercando di non fare il minimo rumore; trattenne il respiro e solo il battito preoccupato del cuore ne incrinava il silenzio. santiago percorse il marciapiede e continuò a pedalare senza fermarsi, concedendo a susanna un sospiro di sollievo, che poi, sollievo da cosa, non si sapeva.

venerdì susanna sentì bussare al portone e si sorprese di essere stata colta di sorpresa. chi era? cosa voleva? senza pensarci due volte non aprì: si chiuse in camera e attese che chiunque fosse se ne andasse. era salih, il cameriere del ristorante turco non distante da lì, che a sua volta aveva bussato invano.

sabato i genitori di susanna tornarono a casa dal viaggio che li aveva tenuti lontani per tutta la settimana. susanna li abbracciò felice e insieme decisero che avrebbero trascorso la giornata più insieme che mai. peccato che in frigorifero non fosse rimasto nulla, che l’erba nel prato fosse alta due spanne, che l’automobile fosse tornata dal viaggio con una spia accesa e che i panni da lavare formassero un mucchio alto un metro e mezzo. avrebbero trascorso la giornata insieme – questo sì – ma lavorando e faticando più che mai.

bastò un’occhiata tra i tre, però, e le cose subito si misero sulla retta via: il signor song passò a metà mattina, con il suo furgone carico di frutta, verdura e varie altre prelibatezze; il babbo portò l’automobile all’officina di said; la mamma portò il sacco di biancheria alla lavanderia dei genitori di sarasi e susanna rimase in giardino a tagliare l’erba, che a casa era il lavoro che preferiva. per cena tutti al ristorante, dove salih servì ogni delizia.

la prossima volta – pensò susanna – forse a salih, sarasi, said e al signor song non avrebbe tenuto il portone chiuso e avrebbe per lo meno salutato. forse.

ma la giornata non era ancora terminata, e per concluderla in bellezza ci stava un film al cinema, dove susanna si accomodò nella penombra proprio accanto a santiago, che le sorrise. e lei sorrise a lui.

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